L’Italia consuma meno energia (-3,8%). Ne consuma meno perché l’economia fatica a riprendere ma soprattutto, come rilevato anche in altri Paesi, si è più efficienti e le tecnologie consentono di separare il fabbisogno energetico dalla correlazione diretta con il Pil. Terzo aspetto; è ufficiale: per produrre elettricità la prima fonte d’energia del Paese è rappresentata dalle fonti rinnovabili, il 43% della corrente. Ma (quarto punto fondamentale) l’Italia ha costi energetici troppo alti soprattutto per colpa della tassazione superba, in media 363 euro per tonnellata di petrolio.

Sono questi i punti essenziali del rapporto «La situazione energetica nazionale nel 2014», un documento di 69 pagine che il ministero dello Sviluppo economico (direzione generale Sicurezza dell’approvvigionamento e infrastrutture energetiche) ha appena pubblicato.

«Il percorso italiano sull’energia è uno dei più avanzati d’Europa», commenta la sottosegretaria dello Sviluppo economico, Simona Vicari. «I dati pubblicati dal ministero dimostrano come il nostro Paese sia non solo all’avanguardia in termini di autonomia energetica ma anche nella copertura d’energia da fonti rinnovabili che, in Italia, rappresenta un quinto della produzione. L’energia da fonti rinnovabili è la prima fonte di generazione elettrica».

Il fenomeno rinnovabili
Il fenomeno delle fonti rinnovabili è quello che fino a pochi anni fa sembrava inatteso e lontano. Gli incentivi degli anni scorsi e soprattutto l’avanzare della tecnologia hanno diffuso impianti a basse emissioni: se per produrre elettricità rappresentano il 43%, queste forme di energia rappresentano il 16,7% di tutti i consumi energetici, anche perché si stanno diffondendo i biocarburanti miscelati con benzina e gasolio.

Obiettivo (quasi) raggiunto
L’Europa ha fissato per il 2020 un obiettivo del 17% di energie pulite. Già nel 2013, sette anni in anticipo, l’Italia era già a ridosso dell’obiettivo. Osserva il rapporto del ministero che «la contrazione degli usi energetici e il concomitante sviluppo delle rinnovabili nei diversi comparti energetici (elettrico, termico e trasporti) ha contribuito a far raggiungere all’Italia già nel 2013 gli obiettivi europei previsti per il 2020 (con un’incidenza delle fonti rinnovabili sui consumi finali lordi pari al 16,7%, solo tre decimi di punto al di sotto del target europeo)».

Il calo della domanda
A parte i consumi elettrici estivi, la cui crescita nel luglio 2015 è deragliata oltre il 13% e ha stracciato ogni primato, gli italiani consumano meno energia. Da quando si misurano, sono sempre stati correlati i consumi di energia e la produzione di beni. Oggi non c’è più questo collegamento diretto fra energia e ricchezza. Nel 2014, osserva il rapporto dello Sviluppo economico, il Pil è sceso dello 0,4%, ma il fabbisogno di energia è precipitato del 3,8%, il livello più basso degli ultimi 18 anni. Lo studio dice che ciò dipende da «una ricomposizione tra settori produttivi» e da «un incremento dell’efficienza» perché l’Italia riesce a produrre di più con meno energia. L’indice Odex, che misura l’efficienza energetica, per l’intera economia italiana è «migliorato nel 2013 del 13,4% rispetto al 1990».

Tasse proibitive
Una spinta poco gradita al risparmio di energia viene dai costi orgogliosi di carburanti, elettricità e metano. Tanti sono i motivi, ma è fortissimo — rileva l’analisi del ministero — «il contributo della tassazione che, per unità di energia finale, è risultata tra le più alte dell’Unione europea». Nel triste primato ci supera solamente la Danimarca. In cifre, nel 2013 l’energia contenuta in una tonnellata di petrolio (scelta come unità di misura per le diverse forme di energia) pagava 363 euro di tasse, accise e altri prelievi fiscali. «Un valore superiore del 68 per cento alla media dell’Ue».

di Jacopo Giliberto – Il Sole 24 Ore