Benvenuti nell’Italia green. Il Belpaese arriva sul podio del Green economy index insieme all’Austria e alla Svezia, unica grande economia europea a posizionarsi nella parte alta della classifica per quasi tutti i 20 indicatori ambientali presi in considerazione dallo studio. Un terzo posto combattuto soprattutto con le armi dell’efficienza energetica, mentre l’Austria, arrivata prima, e la Svezia, seconda, riescono a scalare la classifica anche grazie alle altissime quote di energia rinnovabile sui consumi elettrici (rispettivamente al 68 e al 52 per cento), che derivano dalle risorse naturali dei due Paesi.

Esclusività
L’indice, che prende in considerazione tutti i principali settori interessati dall’economia verde, è stato elaborato da Fondazione Impresa, il centro studi sulla piccola impresa, che tutti gli anni elabora il Green economy index delle regioni italiane e quest’anno per la prima volta ha allargato il raggio d’azione all’Unione Europea. «In Europa non c’è un’area geografica che prevale sulle altre in materia di Green economy – spiega Daniele Nicolai, che ha curato lo studio -. I tredici Paesi dell’Ue che si posizionano meglio sono distribuiti fra il Sud-Ovest e il Nord-Est dell’Europa, mentre la parte centrale, compresi i pesi massimi della Germania e della Francia, si contraddistingue per un livello più modesto di Green economy », precisa Nicolai. Fra i migliori rientrano sia Paesi mediterranei mediamente più arretrati, come il Portogallo o la Spagna, che Paesi nordici molto più ricchi, come Olanda, Danimarca, Svezia e Finlandia, ma anche il Regno Unito. Restano al palo i big player Germania e Francia, che per una volta si posizionano accanto ai parenti poveri, come la Grecia, l’Ungheria o la Slovacchia, mentre la Polonia scivola verso il fondo della classifica, insieme alla Bulgaria, fanalino di coda, ma anche al ricco Lussemburgo, penultimo. Il panorama della Green economy che emerge dallo studio è quindi variegato e trasversale, con sbalzi notevoli, anche all’interno dello stesso Paese, tra i vari settori presi in considerazione: rifiuti, energia, emissioni, organizzazione e produzione, trasporti, protezione ambientale, edifici e biologico.

Big player
La Germania, ad esempio, si posiziona sorprendentemente solo al 16° posto, malgrado la sua leadership indiscussa nella raccolta differenziata e nella gestione dei rifiuti, per colpa di una serie di risultati negativi in altre aree, come gli elevati consumi energetici delle famiglie, l’estensione delle aree costruite, l’elevata incidenza di utilizzo dell’auto o le emissioni medie di CO2 per le nuove auto immatricolate. La Francia la segue al 17° posto, malgrado le ridotte emissioni del suo sistema elettrico, per il basso livello di certificazione ambientale delle sue aziende, per la rilevante generazione di rifiuti pro-capite e per l’incidenza dell’utilizzo dell’auto nei trasporti. Il Regno Unito arriva al 12° posto, fra i Paesi di livello medio, grazie alla buona efficienza energetica del suo sistema industriale (il terzo in Europa per consumi lordi di energia su pil dopo l’Irlanda e la Danimarca, mentre l’Italia è quarta) e ai buoni livelli di spesa per la protezione ambientale, controbilanciati però da una quota molto ridotta di energia rinnovabile sulla produzione elettrica (problema che si va risolvendo, grazie all’eolico offshore).

Mezzogiorno
La Spagna si piazza al 7° posto soprattutto per la quantità minima di polveri sottili emesse per abitante e per i bassi consumi energetici. Il buon punteggio dell’Italia è raggiunto invece proprio grazie a una costanza di buoni risultati in quasi tutti gli indicatori, seppure in assenza di una leadership in un settore specifico. L’Italia si piazza bene per l’elevato grado di certificazioni ambientali, per l’efficienza energetica, per la spesa in protezione ambientale, per la superficie coltivata biologicamente (10% contro la media Ue del 5,7%), per la bassa intensità di carbonio dell’economia, per il basso livello di polveri sottili emesse per abitante e per il basso livello di emissioni medie di CO2 relative alle nuove auto. Risultati incoraggianti, ma migliorabili se le regioni meridionali si mettessero al passo con quelle settentrionali.