Per anni, quando si parlava di «green economy», c’era più di qualcuno pronto a storcere il naso. «Senza capire che si trattava di un’occasione importante di sviluppo economico» spiega Edo Ronchi, presidente della Fondazione per lo sviluppo sostenibile che oggi a Rimini agli «Stati Generali della green Economy» presenterà, dati alla mano, i settori e i profili delle cosiddette imprese «green». Che sono ormai il 42% delle aziende italiane, concentrate per lo più nell’industria (61,2%) ma diffuse anche nell’edilizia, nell’agricoltura e nel settore dei servizi e dell’alberghiero.

«Siamo stati abituati a vedere l’ambiente come vincolo ma è anche occasione di innovazione — aggiunge Ronchi — e di produzione. Le imprese italiane lo hanno capito da un pezzo tant’è che siamo ormai secondi solo alla Spagna, in Europa, nella produzione del biologico alimentare, tanto per fare un esempio. Persiste invece il ritardo a livello politico». Che non ha fermato però gli investimenti dei privati: l’utilizzo nei trasporti di elettricità e carburanti a minor impatto ambientale, per esempio, è cresciuto e la loro quota nei consumi totali è quasi raddoppiata, passando dal 6,6% nel 1990 al 12,6% nel 2014. Idem per le vendite di auto ad alimentazione alternativa passate dal 5,6% del 2011 al 15,3% del 2013.

Nella produzione di energia elettrica il balzo delle rinnovabili è stato più forte:sono cresciute dal 16,1% del 1990 al 37,2% del 2013 e sono diventate la principale fonte impiegata per produrre energia elettrica in Italia (anche se il gas è al 37% e il carbone al 14,3%), riducendo non solo le emissioni di CO2, ma anche la dipendenza dalle importazioni di fonti fossili. Eppure nel 2014, le rinnovabili hanno dovuto registrare un crollo degli investimenti (-71%) dovuto al taglio retroattivo degli incentivi. Con implicazioni anche sul fronte occupazionale arrivato, nel 2013, a registrare un saldo negativo di 27 mila posti di lavoro (-22%). Il fotovoltaico il settore con la performance peggiore (-82% rispetto al 2011).

Fonte: corriere.it