L’istituzione di un area nazionale protetta di ben 1.600 ettari nella Foresta Pluviale degli Alberi Dragoni, habitat naturale di molte specie rare di lemuri. Questo il risultato raggiunto dalla stazione di ricerca italiana in Madagascar grazie a un decreto legislativo che vieta di tagliare e bruciare gli alberi della Foresta Pluviale all’interno della zona. Quest’area è gestita dal dipartimento di Scienze della Vita dell’Università di Torino in collaborazione con il Parco Natura Viva di Bussolengo come zoo capofila dell’Unione italiana zoo e acquari.

“Questo potrebbe salvare la vita a 13 delle specie di lemuri più a rischio di estinzione che vivono in Madagascar, in costante declino a causa della deforestazione indiscriminata”, ha spiegato Cristina Giàcoma, direttore del dipartimento di Scienze della vita e biologia dei sistemi dell’Università di Torino. L’intervento è volto a contenere il disboscamento selvaggio operato dalla popolazione locale che taglia gli alberi e poi appicca il fuoco per trarne carbone o nuovi territori da coltivare.

Una pratica, questa, che ha causato la scomparsa del 90% della foresta primaria esistente sull’Isola, insieme anche all’estrazione mineraria. Nella zona di Maromizaha vivono circa 3.000 lemuri fra i quali anche l’Indri, il più grande delle quattro famiglie e il più particolare: non vive in nessun parco zoologico del mondo perché nessuno è mai riuscito ad allevarlo con successo fuori dal proprio habitat ed emette un canto unico, udibile fino a 4 chilometri di distanza.

I lemuri sono un gruppo di primati del sottordine degli Strepsirrhini presenti solo in Madagascar. Oggi ne esistono circa 60 tipi che vivono praticamente in ogni zona dell’isola. Molti di questi esemplari, purtroppo, rischiano l’estinzione a causa della deforestazione e della caccia. Il progetto, coordinato tra Italia e Madagascar, permette di salvaguardare uno dei preziosi polmoni verdi del pianeta e questo particolare animale a rischio di estinzione.

Un vero lavoro di squadra che ha visto una collaborazione pluriennale direttamente sul posto permettendo di sensibilizzare gli autoctoni e di impiegarli praticamente nel piano di intervento. “È il risultato di dieci anni di attività fianco a fianco della popolazione locale, iniziata quando abbiamo costruito noi stessi la stazione di ricerca di Maromizaha”, sottolinea Giàcoma. “In una semplice struttura di legno sono avvenuti dei piccoli miracoli: alcuni abitanti locali, al tempo analfabeti, ora sono guardiaparco. Ed è proprio lì dentro che coordiniamo il progetto scientifico per la tutela dei lemuri del Madagascar”.