Sacchetto di plastica biodegradabile

L’inquinamento dei sacchetti di plastica

In Italia si consumano mediamente 300 buste di plastica per abitante, 20 miliardi in totale. Una quantità di plastica enorme che se sostituita farebbe risparmiare più di 180 mila tonnellate di petrolio e altrettante di emissioni di CO2. Secondo l’Agenzia europea per l’ambiente un sacchetto resta nell’ambiente fino a 1000 anni. I sacchetti di plastica sono aerodinamici, basta poco vento per trasportarli e disperderli nell’ambiente, nei fiumi, laghi, mari e sul territorio. Si frantumano in minuscoli pezzi ma non si distruggono e, a volte, formano vere e proprie “isole” come a 800 miglia a nord delle Hawaii, nell’Oceano Pacifico, il cosiddetto Pacific Vortex, con un’estensione che varia a seconda delle stime tra i 700 mila e i 10 milioni di Km2 e con un peso stimato di 3 milioni di tonnellate. Concentrazioni variabili di plastica si trovano anche nel Mediterraneo e sulle sponde dei mari italiani.

La sostituzione del sacchetto di plastica in Italia è iniziata nel 2009 e dal 2010 il sacchetto di plastica è stato sostituito da sacchetti riutilizzabili o shopper biodegradabili. L’utilizzo di sacchetti di tessuto, resistenti e lavabili ha ridotto di 4 kg la plastica utilizzata con un risparmio per le famiglie di 40 euro l’anno.

Il consumo comunque rimane molto alto e per questo l’Unione Europea è intervenuta con delle direttive precise. La prima è ridurre a 90 sacchetti all’anno la media entro la fine del prossimo anno, per arrivare a 40 entro il 2025. In pratica, si chiede che entro il 2019 ogni nazione dell’Ue arrivi almeno a metà della media europea del 2010 per poi dimezzare ancora i consumi. Si parla di sacchetti al di sotto dei 50 micron, cioè leggeri e tendenzialmente da usare una sola volta. Non si dice però che debbano essere biodegradabili: da quello che si capisce, uno Stato per mettersi in regola deve solo ridurre il consumo nei limiti stabiliti, anche se si continuano a usare sacchetti inquinanti.

La seconda strada proposta dalla legge europea è assicurare che entro la fine di quest’anno non vengano più distribuiti i sacchetti di plastica leggeri senza farli pagare. Anche in questo caso, pare di capire, possono essere ancora sacchetti inquinanti, come quelli ormai vietati in Italia. Basta che si paghino: l’idea è che il costo disincentiverà il consumo, come è avvenuto in alcuni Paesi (per esempio in Irlanda dopo il 2001).

La novità dei sacchetti per alimenti nel 2018

Per ridurre ulteriolmente i consumi di plastica vi è una direttiva europea che l’Italia ha recepito con la legge 123/2017. Questa legge fissa gli obbiettivi di riduzione nell’utilizzo di sacchetti di plastica. La normativa rende obbligatorio la vendita dei sacchetti di plastica biodegradibile per alimenti. Questa norma ha due funzioni:

  • disicentivare l’abuso dei sacchetti
  • esplicitare il costo e far pensare il consumatore

Questo dovrebbe rendere maggiormente consapevole il consumatore e ridurre l’utilizzo delle borse di plastica e dei sacchetti trasparenti per alimenti.

I sacchetti sono totalmente biodegrabili in 12 settimane e vengono fissate anche quote di materiale riciclato con cui produrli. Si parte dal 40% previsto per il 2018 e si passa poi al 50% nel 2020, per arrivare al 2021 con sacchetti composti al 60% da materie prime rinnovabili. Questo è un aspetto che non incide sulla loro biodegradabilità ma sul riutilizzo delle risorse.

Bisogna stare attenti però alle etichette che in molti casi non sono biodegrabili. In questo caso si consiglia di attaccarle ai manici e poi tagliarle una volta a casa. I supermercati però si stanno attivando per avere anche etichette biodegradabili.

I bioshopper hanno un prezzo compreso tra 1 e 2 centesimi di euro per una spesa totale stimata annuale intorno ai 15 euro. Si possono anche riutilizzare per buttare i rifiuti organici. Contando che un sacchetto per rifiuti organici costa mediamente 22 centesimi vi è una certa convenienza.

Quale impatto ha la plastica sull’ecosistema?

Solo in Europa sono oltre 8 miliardi i sacchetti di plastica che ogni anno si disperdono nell’ambiente: sfuggono alle maglie della raccolta dei rifiuti e finiscono per accumularsi nell’ambiente, specie in quello marino. Gli ultimi dati a disposizione sono piuttosto allarmanti: frammenti di plastica sono stati trovati nel 94% degli uccelli marini del mare del Nord, ma anche nello stomaco di tartarughe e mammiferi marini. Oltre al pesante impatto sull’ecosistema, le implicazioni di questo mare di plastica sono diverse e i danni calcolati riguardano più aspetti:

 

  • Ambientale

Dovuto all’inquinamento dell’acqua, dell’aria e del suolo;

  • Economico

Dovuto alla perdita di materie prime, al minore introito per l’industria del riciclo e all’aumento dei costi di pulizia ambientale;

  • Sociale

Causa la perdita del valore estetico del paesaggio e implica possibili danni alla salute.